Racconto breve fantasy | Hugga

Ecco un racconto breve, fantasy, dedicato a Tony Grilli.

Hugga

Un vento furioso sconvolgeva la sassosa pianura delle Terre Marce, trascinando nubi di polvere e mulinelli di sabbia. Fischi e sibili riecheggiavano sinistri, più forti quando le furiose masse d’aria si scontravano con le pareti a picco della Crosta del Tordo, un altopiano solitario come un isola nel grigio mare della pianura. La Crosta era un blocco di roccia erosa e graffiante, alto una cinquantina di metri e completamente ostile alla vita. Si ergeva improvviso, la sua mole era l’unica entità che spezzava la continuità monotona della pianura. Sembrava un dente piantato in mezzo al nulla. Unico segno di vita nei paraggi, tre alberi antichi, contorti ma vivi, crescevano alla base della Crosta, proprio nei pressi dello stretto sentiero che dalla pianura risaliva tortuosamente il costone impervio raggiungendo il mezzo della sua altezza per infine scomparire, inghiottito dall’oscurità di una grotta.

Le fronde delle tre grandi querce, simili a torri di difesa, erano continuamente frustate dal vento. Il sole aveva ormai raggiunto l’orizzonte e lanciava sulla desolazione i suoi ultimi strali scintillanti. Le cime dei tre alberi solitari erano avvolte da una tenue luce dorata. Il fianco occidentale della Crosta era infiammato dalla luce calda e la sua massa compatta proiettava una lunghissima lingua d’ombra sulla pianura. Tutt’intorno era la desolazione delle terre marce, famigerate e disabitate lande che chiunque avrebbe evitato. Chiunque non fosse pervaso dal sacro ardore dell’eroe.

Tre figure raggiunsero la base dell’altipiano, ammantate da mantelli sgargianti nei colori del tramonto. Si arrestarono sotto le tre querce e, impettiti, scrutarono verso la sommità del sentiero. Il vento gonfiò i loro mantelli come vele e per un istante i tre individui parvero come alberi maestri di possenti vascelli giunti in prossimità di un’isola di pietra con la costa a strapiombo.

<<Ce l’abbiamo fatta>< disse una delle tre figure. Era una ragazza giovane e bella. Sotto il mantello azzurro aveva una tunica indaco, aderente, che avvolgeva le sue forme sensuali lasciando trasparire un seno procace e una vita generosa.

<<Ne dubitavi, Seline?>< chiese Martell, un ragazzo muscoloso, imponente, vigoroso, protetto da un’ armatura in cotta di maglia che luccicava agli ultimi barbagli di sole.

<<No, certo,>< rispose Seline <<è solo che sono stufa di questo vento in faccia e del sapore della polvere in bocca.>>

<<Oh, per fortuna!>< ansimò la terza figura << Sono esausto. Che ne dite di riposare qualche istante e riprendere fiato. Ci aspetta la salita di quel ripido sentiero e vorrei essere in forze per quando.. beh.. insomma, capito no?>>

Martell si impettì e squadrò il ragazzo davanti a sé. Era un individuo mingherlino, quasi tisico, bianchiccio e alto, come il fusto di un pioppo. Per un istante Martell fu tentato di canzonare l’amico come al solito, ma alla fine decise di essere clemente. Sospirò, lasciando affiorare un sorriso sulle labbra.

<<Ascolta Marmotta, possiamo concederci solo qualche minuto. Tra poco il sole tramonterà e nelle terre marce non è bene farsi avvolgere dall’oscurità.>>

<<Martell ha ragione.>< approvò Seline <<Facciamo una breve sosta e non ritardiamo la nostra missione.>>

Marmotta la guardò con aria stanca e disperata ma, osservando la luce che brillava negli occhi della fanciulla, si sentì rincuorato. I tre si sistemarono sotto una delle querce per ripararsi dal vento, estrassero delle borracce e dei pezzetti di carne salata e, mentre la compagnia del sole scompariva all’orizzonte, consumarono un rapido pasto. Mangiarono in silenzio, tuttavia i fischi e le sibilanti parole del vento portarono la mente di Seline a rievocare le incredibili circostanze che li avevano condotti fin lì.

Solo un paio di giorni prima erano stati ragazzi normali. Come al solito erano usciti di scuola, s’erano fermati al bar Sprizzi per fare due chiacchiere come tante altre volte. Poi era arrivato Augusto e li aveva invitati a casa sua per quel pomeriggio, voleva giocare a un gioco chiamato Archetypus.

<<Si tratta di un gioco di ruolo>< aveva detto Augusto, aggiustandosi gli occhiali sul naso <<roba forte, ci divertiamo, ve lo giuro. Venite a provare e poi mi dite.>>

Loro avevano deciso di fidarsi. Lei, Marco e Gianpaolo – che adesso si chiamavano Martell e Marmotta – avevano fatto uno squllo ai rispettivi genitori per avvisare che sarebbero andati a studiare insieme perché l’indomani avrebbero dovuto portare una ricerca di storia alla prof. Baldazzi, a scuola. I genitori c’erano cascati tutti come pere. Alle quattro si erano ritrovati a casa di Augusto che li aveva accolti con una canna e una torta al cioccolato. Poi aveva iniziato a spiegare il gioco.

<<Beh, non ve la faccio lunga>< aveva detto Augusto mentre aspirava una bella boccata dalla canna <<diciamo che la base è semplice. Voi immaginate un personaggio fantastico, poi lo traduciamo in numeri per farlo funzionare con delle regole che c’ho in questo libro, e poi il resto lo scoprirete giocando.>>

“Facile”, aveva pensato Mara – Seline – “in pratica tutta fantasia”.

Mai avrebbe creduto a cosa le sarebbe successo. Mezz’ora dopo aveva creato Seline. E poi era accaduto l’incredibile. Augusto aveva aperto il libro e loro erano stati catapultati altrove. Ma non come si suole dire, nella metafora, letterariamente, per gioco… No. Veramente catapultati. Erano atterrati in una terra sconosciuta e arida e s’erano fatti anche male quando erano caduti dal cielo. Dopo tre ore di incredulità si erano risolti a cercare di uscire di lì. Ma era stato tutto inutile. Avevano perciò deciso di muoversi. L’unica cosa che avevano trovato dopo ore di cammino era una specie di agghiacciante maniero semidiroccato. E nel maniero  viveva una sorta di megera che gli aveva parlato biascicando parole sputacchiate fra i due soli denti che le rimanevano.

<<Sciocchi, non potete tornare indietro, potete solo andare avanti. Però, se mi portate la testa dell’orco che vive sulla Crosta del Tordo, io potrei fare un incantesimo per rimandarvi a casa.>>

La megera aveva poi aperto un baule e ne aveva tratto una serie di strani oggetti e abiti. Li aveva così rivestiti di tutto punto e si erano ritrovati agghindati come gli eroi delle favole. La megera aveva anche ricordato a Seline che la sua creatrice – Mara – l’aveva creata maga, quindi lei doveva pur saper fare qualcosa di buono con la bocca e qualche coda di rospo. Marco s’era ricordato di essere Martell e di saper tirare certe legnate da spaccare le porte. Gianpaolo, che aveva creato Marmotta, non riusciva proprio a capire come fosse possibile che fosse bravissimo a scalare le pareti come un ragno, sapesse nascondersi negli anfratti come un ombra e riuscisse ad aprire le serrature come Lupin. Alla fine avevano dovuto cedere. La loro razionalità si era dovuta arrendere ai fatti. Erano davvero in un mondo fantasy e non sarebbero tornati a casa finché non avessero portato la testa dell’Orco alla strega del maniero. E così partirono alla volta delle terre marce, luogo in cui – a sentire le strascicate indicazioni della vecchia – avrebbero trovato un altopiano inconfondibile, dimora di un maledetto orco cattivo.

Seline, ripensando al loro stato d’animo quando avevano iniziato il viaggio, si stupiva. All’inizio era disperata e scontenta, era infastidita dall’impossibilità di tornare a casa. Quella sera ci sarebbe stato il Festival di San Remo, diamine. Anche Marco era incazzato nero, diceva di continuo che non era possibile, che doveva vedersi con Angela, la sua fidanzata, e che se gli dava buca così chissà che casino gli avrebbe piantato quando l’avrebbe rivisto. Giacomo invece era come inebetito. Qualsiasi cosa dicessero gli altri due, lui annuiva e rimaneva con la faccia da imbecille. Ma una volta iniziato il cammino, era avvenuto un altro miracolo. Passo dopo passo, minuto dopo minuto, ora dopo ora, nei loro cuori si era formata l’idea della loro avventura. Un senso eroico era cresciuto sempre più. La consapevolezza di essere destinati a compiere grandi gesta, la voglia di affrontare e vincere i nemici.

E così alla fine erano arrivati sotto le querce alla base della Crosta.

<<Dunque,>< proclamò Martell <<è giunto il momento di agire, tergiversar non giova. Affrontiamo il nostro fato.>>

<<Come lo affrontiamo?>< chiese Marmotta <<Voglio dire, dovremo pur preparare un piano, no?>>

<<Quanto sei fifone,>< rispose Martell, guardando Seline mentre gonfiava il petto <<Sei o non sei un eroe? Sei qui per sconfiggere un fetido Orco!>>

Marmotta a quel punto annuì.

<<E allora non temere, devi solo affrontarlo e vedrai. Siamo eroi, destinati a sconfiggerlo.>>

<<Hai ragione Martell>< disse Seline ammiccando <<tutto questo non è un caso. La trama del fato ci conduce verso questo pericolo. Noi lo affronteremo e lo vinceremo. Andiamo.>>

I tre eroi si alzarono e si avviarono a salire il fianco della Crosta del Tordo, seguendo le tortuose anse dell’impervio sentiero che conduceva all’oscuro pertugio. Giunti alla grotta, Marmotta estrasse una torcia e l’accese con la sua pietra focaia, Martell sfoderò la possente lama e preparò lo scudo istoriato, dono della megera, e Seline preparò la bacchetta che la vecchia le aveva affidato. E si infilarono nell’oscurità.

 …

Un odore di carne speziata impregna l’atmosfera e si mescola al fetore di escrementi e al puzzo di muffa e formaggio andato a male. Un rozzo focolare, ricavato a ridosso di una parete di roccia convessa, ospita un grande fuoco che scoppietta allegramente riempiendo l’ambiente di fumo acre. Sopra il focolare c’è un grosso pentolone. All’interno del pentolone un liquido denso bolle vivace. Un desco povero, con un piatto di legno e un orcio di terraglia, è approntato su un ceppo enorme che per l’occasione è stato ricoperto da una tovaglia indaco, macchiata di sangue. Una figura abnorme appare nel cerchio di luce del fuoco. La sua pelle è verde marcio, i suoi occhi sono enormi e arrossati, lacrimosi. La sua bocca è larga, sdentata e bavosa, il naso schiacciato e incrostato di muco secco. Pochi peli arruffati gli spuntano a ciuffi dal cranio deforme. Il petto enorme è avvolto in una rude pelle di capra vagamente lavorata e non conciata. Brandelli di carne rinsecchita, della capra che di quella pelle un tempo si rivestiva, penzolano a ogni movimento dell’energumeno. I suoi passi pesanti riecheggiano tra le volte irregolari del suo antro-tana. L’orco sorride mentre con un grosso bastone – un ramo caduto da una delle sue tre querce – rimescola la brodaglia fumante nel calderone.

<<Shi, shi>< biascica rimestando nel grande paiolo <<molto gentili proprio di portare cena a Hugga, shi. Ragazzi bravi ragazzi buoni, shi.>>

Hugga, senza paura di scottarsi, afferra un dito che galleggia nel paiolo e lo azzanna.

<<Quasi pronto per Hugga, buona cena, ora però tocco di bontà per pappa di Hugga.>>

Hugga orco racconto fantasia breve

Hugga poggia l’immane mazza sulla roccia e si dirige nell’oscurità. Un rumore di carne strappata, schiocchi liquidi, fruscii umorali, scricchiolii cartilaginei. Hugga emerge dall’oscurità stringendo sotto l’ascella un muscoloso braccio mozzato e tra le mani un groviglio sanguinolento di viscere e frattaglie, gocciolanti, imbrattate di escrementi. Getta nel calderone il groviglio e prende a masticare la mano del braccio che aveva sotto l’ascella.

<<Mhh, shi, shi, buono tocco di bontà.>< blatera allegramente fra un morso e l’altro <<Ora Hugga decide. Shi. La ragazza e quello grosso sotto sale per l’inverno, shi. Però un poco di altro braccio me stacco perché è buono fresco. Quello magro l’ho già cotto mezzo, domani l’altro mezzo, shi, con cipolle, shi, cipolle. Meno male che Hugga ha fatto tre volte venti, shi.>>

Informazioni su Luigi Pignalosa

Nato nel sole, cresciuto nel mare, educato dal Cielo, torturato dalla terra. Mi laureo in Filosofia con il massimo dei voti (per quello che significa in Italia). Studio e sviluppo competenze nel campo della comunicazione strategica e dei media digitali. Lavoro come Strategic Communication Planner, Content writer & manager, Web project manager. Da piccolo inventavo i miei giochi perché quelli esistenti erano stati già creati. Il mio motto è "Se proprio devi fare qualcosa, fa' qualcosa che non c'è".
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6 risposte a Racconto breve fantasy | Hugga

  1. CervelloBacato ha detto:

    Non male devo dire! All’inizio non mi convinceva molto, perché sa di storia già sentita, però il finale ha concluso tutto al meglio dando una bella nota ”felice” a tutto il racconto 🙂

    • Luigi Pignalosa ha detto:

      Grazie, infatti è proprio quello l’effetto che cercavo, il lettore deve sentirsi ormai sicuro di aver capito dove la storia sta andando e poi si deve ritrovare nella nota “felice” come l’hai chiamata tu.. Grazie del commento Cervello…

    • Luigi Pignalosa ha detto:

      Grazie cervello, mi fa piacere di essere riuscito a stupirti! 🙂

  2. ITHG ha detto:

    Forse troppe descrizioni, rallentano il ritmo. Commento da lettore, nessuna critica

    • Luigi Pignalosa ha detto:

      Grazie per il commento, anzi, dato che sono sempre favorevole a sentire che effetto fa nel lettore, dimmi qual’è il punto più pesante secondo te.

      • ITHG ha detto:

        Data la lunghezza del racconto, credo che la parte introduttiva sia stata eccessiva. I personaggi entrano in scena relativamente tardi, in proporzione è come se in un libro comparissero alla pagina 20. Da lettore mi aspetto che in un racconto breve in poche righe vengano condensate molte informazioni e si entri subito nel merito. La mia impressione è che ti piaccia così tanto scrivere che mentre lo fai tendi ad eccedere.
        A scanso di equivoci, è un commento, un’impressione, non una critica, non sono un critico, solo un lettore.

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